mercoledì 16 dicembre 2009

La musica. Il canto. La messa.

Domenica ore 07.30am.
Lo so che potrei dormire. Ma sono già fuori casa. Del resto non ho chiuso occhio tutta la notte. Perché dovrei dormire proprio ora. Passo a prendere la mia amica e partiamo. Stiamo andando a Loro Ciuffenna. Il nome del paese è particolare. Quasi buffo. Stiamo andando a sentire la Filarmonica che suona alla festa di Santa Cecilia. A parte noi, temo che non ci saranno altri fans che arriverano da fuori. Nemmeno da fuori delle mura del paese. Comunque. Non è a questo che penso mentre aspetto. Quello che ho in mente è il sole dell'estate, il caldo di quella stanza troppo vuota d'amore e troppo piena di insetti simili a zanzare, messi a decorare la parete grigia della casa di riposo. Quello che ho in mente è che mi appoggio con la schiena alla mia amica mentre guardo portare mia madre in chiesa, sperando che la mia amica possa tenere un po' del mio dolore, mi viene in mente la pioggia, ma non sono certa che quel giorno ci fosse. Quello che affolla la mente è la luce all'alba mentre guardo sorgere il sole dietro le colline di Loro Ciuffenna. Per un momento ho paura che sia stato un errore tornare. Qui ho cercato una pace e un sollievo che non ho trovato nei giorni del lutto. Qui ho trovato una natura meravigliosa che non ha consolato il cuore, non ha placato la mente, non ha asciugato le lacrime.
Mentre guido e siamo quasi arrivate arriva ancora la paura che il tempo torni indietro e che non avrò scampo dai ricordi e dal dolore. Io che mi perdo se mi fate fare il giro del palazzo, mi ricordo, invece, ogni strada ogni particolare. Il benzinaio poco dopo l'uscita dell'autostrada. Dove girare. Dove andare, dove fermarmi.
Ormai sono qui.
Sembra tutto irreale e quando chiedo al gestore del bar dove sta la chiesa dove fanno il concerto, mi risponde che non lo sa. Lui non è di qua. Forse sto dormendo e sto sognando. Come fa il gestore del bar, in centro, sulla piazza principale a non sapere che oggi c'è la festa qui, grande festa con tanto di pranzo sociale e Banda sonora.
Invece è vero. Usciamo perchè è l'ora e seguiamo una pia donna. Con lei andiamo sul sicuro. Infatti arriviamo in chiesa. Tutto pronto. Il coro per i canti. Il prete per la messa. La Banda per il concerto.
E' la prima volta che sento la Banda. All'inizio sono stordita. Poi la musica entra nelle orecchie e nel cuore. Quasi quasi piango. Poi mi trattengo. Non voglio lasciare su questa terra, che non mi ha fatto torti, solo le mie lacrime. Non si asciugherebbero più e non potrei tornarci. E invece ci voglio tornare. Qui. Qui sono venuta ad accompagnare i miei pensieri e i miei ricordi di figlia come ho accompagnato la bara di mia madre alla sua tomba. Qui voglio tornare per scavare e ritrovarli ogni volta. Se piangessi anche oggi non avrei il coraggio di tornare e tutto andrebbe perso.
Tutto finisce. La musica. Il canto. La messa.
Andiamo a salutare il Maestro. A guardarlo potrebbe mettere soggezione. Ha uno sguardo particolare, ma si vede che è un'anima sensibile. Trasmette gioia anche quando gli occhi si fanno più grigi. Ci presentiamo da estranei ma parliamo e ci congediamo come amici di vecchia data. Tutti sembrano conoscerci da tempo. E' come se parlassero col banchista del bar del centro, che sta lì da una vita e sa tutto di tutti.
Il resto è un viaggio verso casa, fatto di emozioni nuove. Prendo qualcuno dei pensieri che ho lasciato qui la prima volta. Tutti non posso ora. Non ce la farei. Ma mi prometto di tornare a prenderli. Magari uno alla volta e di aggiungerne altri. Altri pensieri. Altri ricordi. Altre persone. Che mi aiuteranno a riportare a casa un pezzo di cuore.

Il corpo sa tutto

Sono svenuta.
Qualche giorno fa sull'autobus nr 80 Express. O meglio, mi sono sentita male sull'autobus. Mi sentivo stretta e costretta dalla calca che c'era. In questi giorni di follia "pre-natale", sembra che la gente venga vomitata, all'improvviso, per le strade e poi inghiottita dai negozi e dalla metropolitana e dagli autobus. Ma non divaghiamo.
Insomma, mi rendo conto che sto per svenire e invece di chiedere aiuto decido di scendere alla fermata. Nella poca luce che vedo in fondo al tunnel buio che omai oscura la vista intravedo le porte che si aprono. E scendo.
Sono certa che è solo l'aria che mi manca. Ma la boccata gelida che entra nei polmoni e rinfresca il viso non basta. Il buio non si dilegua e questo mi spiazza.
Io sono stoica. Per natura, forse. Per educazione, probabile. Per stupidità, quasi certamente.
Non chiedo aiuto.
Mi avvicino (credo barcollando) ad uno dei negozi di antiquariato di fronte alla fermata. Mi appoggio alla porta, ma non si apre. Mi basterebbe qualche secondo seduta e sarei salva.
Perchè non ho chiesto di farmi sedere sul bus? Sono stoica io.
Busso. Ma niente. Ecco sale il panico. Non basta essere forti. Non serve razionalizzare.
Il cerchio scuro si chiude. Sparisce la lucina che era rimasta in fondo e svengo.
Finalmente.
Mi riprendo in pochi secondi. Scossa dal suono ovattato di una voce che mi chiede se mi sento male. Sì. Sono sdraiata per terra. Sono svenuta. Ovvio che mi sento male. Quando mi rendo conto che il vecchietto è in ansia mi tiro su. Seduta. La mia prima preoccupazione è tranquillizzarlo. Non serve l'ambulanza-sto bene-ora vado a casa. Ma non mi lazo. Mi fa male la testa. Ho sbattuto per terra. Arriva il ghiaccio preso al bar accanto. Arriva l'ambulanza. Firmo per andare a casa. Non ci vado al pronto soccorso. Saluto e ringrazio chi ha avuto cura di me per pochi minuti. Chi non mi ha scambiata per una sbandata lasciandomi in terra con la sua indefferenza. Vado a casa.
Finalmente al sicuro della tana valuto il danno.
La testa fa male e tanto. Lo stomaco fa i capricci. Le idee sono confuse. L'orgoglio è ferito. Non solo perchè non ce l'ho fatta a tenere tutto sotto controllo, ma perchè ho perso conoscenza. Ho perso coscienza. Di me. Di me stessa. E poichè il corpo sa tutto, questo è un segnale per dirmi che lui mi può disubbidire perchè senza coscienza di sé e senza conoscenza di sé stessi noi non esistiamo.
Il mio corpo, qualche giorno fa, mi ha detto che io non esisto. Mi sono annullata negli impegni quotidiani, nel lavoro e in My Joy. Impegnando ogni istante a cancellare un pezzetto di me. Ogni scusa è buona per rinunciare a qualcosa che sia solo per me. Che dia voce e concretezza ai miei desideri, corpo ai miei sentimenti, vita ai miei sogni. La paura di essere felice o anche solo di soddisfare me stessa è stata più forte. Come dice Vasco "se hai bisogno di una scusa, io ne ho tante, te ne posso dare una". Io non ne ho tante. Ne ho alcune e una molto forte. My Joy mi tiene al mondo, ma io a volte la uso per proteggermi da tutto. I figli sono la scusa socialmente maglio accettata di questo mondo. Se non esco perchè non ho trovato chi mi tiene My Joy, se non vado in palestra o a correre perchè non voglio togliere altro tempo a lei, se riununcio a tante cose per lei posso essere solo una brava madre. Il resto non conta per la società e allora il problema non esiste.
Ma ignoriamo spesso che il corpo sa tutto e, quando usiamo la nostra mente contro di noi, il corpo provvede a mandarci segnali più o meno forti.
Il mio mi ha detto che per lui non esisto. Non posso dargli torto. E su questo dovrò lavorare un po'.
Un consiglio di lettura: Il corpo sa tutto di Banana Yoshimoto.

giovedì 3 dicembre 2009

Eppure...

Ti aspetto.
Sì, lo so. Sembra strano. Dopo tanto tempo.
Dopo tanto dolore, dovrei aver smesso di credere all'amore.
Di desiderare ancora. Di sperare che un sogno diventi realtà.
Che un desiderio si avveri.
Eppure...
Ti aspetto. Mi guardo intorno mentre cammino e vado a lavoro.
Anche stamattina, tra le nuvolette del mio respiro e i miei pensieri
svagati, ho pensato ancora una volta che tu potessi aspettarmi all'angolo.
Accanto al mio nuovo ufficio. Dove non sei ancora stato mai.
Aspettarmi lì, per chiedermi di fare colazione insieme mentre sorridi
soddisfatto per la mia faccia sorpresa. E felice.
Hai ragione. Anche io provo a soffocare ogni giorno tutto questo.
Ma, a volte, la vita e i sentimenti sono più forti di qualsiasi veleno
possiamo usare per farli morire. E quando ci sembra che tutto sia
stato messo a tacere all'improvviso una voce ci chiama dal buio
dei nostri giorni.
Sono certa che quando sarò vecchia, una mattina uscirò a fare una
passeggiata sotto casa col mio cane sgangherato, girerò l'angolo
e all'improvviso mi aspetterò di trovarti lì e, se non ci sarai, i passanti mi
sentiranno commentare....."Eppure..."

So che è assurdo ma ogni giorno è più difficile dimenticarti.